Una sera decido di uscire con Marco, conosciuto su Instagram.
La sua bio dice: “Empatia. Energia. Evoluzione.”
Che già mi doveva allertare.
Appuntamento alle 22:45 al bar dell’Hotel De Russie, quel posto dove la clientela ha più botox che tempo libero, me compresa.
Come da tradizione consolidata, arrivo alle 23:00.
Perché? Perché la puntualità è da commercialisti. Il fascino, invece, ha bisogno di un quarto d’ora di ritardo, uno sguardo distratto e labbra glossate.
Parcheggio a Piazza del Popolo, mentalmente già pronta alla conversazione brillante che sto per sfoderare. Scivolo fuori dall’auto con la stessa maestosità con cui Sophia Loren scendeva dagli aerei negli anni ’60.
Peccato che lei aveva la scala, i flash e Cary Grant…
io un parcheggiatore che mi urla:
— Signò, ha lasciato i fari accesi!
Leggo il messaggio di Marco: “Sono qui. Ti aspetto!”
Bene. È il momento.
Varco la soglia del Bar Stravinskij, pronta a lasciare il segno: atmosfera elegante, luci basse, musica soft, gente che beve cocktail con dentro ramoscelli raccolti sulle Dolomiti e nuvole commestibili firmate dallo chef.
Lo vedo, seduto di spalle, capelli mossi, leggermente brizzolati, intento a scrivere al computer.
Mi avvicino con passo deciso, mano sulla spalla e voce bassa tipo “ho appena finito di recitare in un film francese”.
— Ma buonasera!
Si gira.
Non è Marco.
È un uomo d’affari, probabilmente in video call con Tokyo, che ora mi guarda visibilmente confuso, come se avessi appena chiesto:
— C’è il karaoke?
Vorrei morire.
Ma non ho fatto il testamento, quindi no.
Mi scuso con voce da confessionale della domenica e cerco di allontanarmi con grazia.
Spoiler: la grazia non era disponibile. Era in ferie. A Bali.
Faccio un passo indietro e urto un cameriere.
Un cameriere con un vassoio.
Un vassoio con cocktail.
Cocktail che ora volano.
I bicchieri si infrangono a terra.
Balbetto delle scuse, arrossisco fino alle caviglie e con l’agilità di un ninja in crisi d’identità mi infilo dietro un’enorme pianta ornamentale.
Divento foglia, divento arredamento.
Un cameriere mi appende un cartellino con scritto:
“Installazione temporanea. Vietato toccare.”
Esco. Respiro.
E da lontano, finalmente, lo vedo: Marco.
Si avvicina. Ha quell’aria rilassata da uomo che ha appena ascoltato un podcast su come diventare una persona migliore senza fare nulla.
— Ciao! Non vedendoti ne ho approfittato per fare due passi.
— Sono arrivata giusto adesso.
(Mentire con disinvoltura: √)
Rientriamo. Io cerco di evitare il campo minato di vetri e dignità rotta, lui non sospetta nulla.
Ci sediamo, ordino un Moscow Mule e un rosario invisibile per la salvezza della serata.
Mi dico: “Ok, respira. Rilassati. Potrebbe sorprenderti.”
E in effetti…mi sorprende, perché comincia a parlare e da lì, non smette più.
Un TED Talk che nessuno ha chiesto.
Parla della sua evoluzione interiore, del suo terapeuta che ora è anche life coach, floriterapeuta, sensitivo freelance e venditore di oli su Etsy.
Ad un certo punto mi guarda e dice:
— Sento che sei un’anima in ascolto.
Sì Marco. Ti ascolto con l’intensità di un’attrice candidata all’Oscar.
Nel frattempo sto decifrando lo sguardo del barman che mi implora:
— Sorella, vattene finché puoi.
Eppure…
una cosa bella c’è stata.
Ho bevuto un ottimo Moscow Mule.
Fresco.
Equilibrato.
Silenzioso.
Fine.
(E se vi state chiedendo: “L’hai rivisto?”
Risposta breve: ah ah ah. No.)

